Il Meccanismo Europeo di Stabilità torna alla ribalta nei giorni del Coronavirus ed è oggetto di vivaci controversie. Ma di che cosa si tratta esattamente? E a che serve?
Il MES è una specie di salvadanaio in cui i Paesi europei hanno depositato (o promesso di depositare) risorse per 705 miliardi di euro. La parte dell’Italia è di 125,3 miliardi di euro. Se un Paese avesse difficoltà economiche potrebbe, con l’accordo di tutti gli altri, rompere questo salvadanaio e accedere ai fondi accantonati.
Ma che cosa significa, per un Paese, avere “difficoltà economiche”? Per far fronte alle proprie spese, ogni Stato può contare sulle imposte che gli vengono versate. Eppure, di norma, le spese sono sempre più alte dell’insieme delle imposte pagate, ed ecco che gli Stati procedono all’emissione di titoli del debito pubblico. Semplicemente, chiedono somme in prestito promettendo di restituirle a tempo debito insieme ad un certo interesse.
Chi compra questi titoli? Ossia: chi presta denaro agli Stati? Può farlo chiunque, dai singoli alle banche ai fondi comuni. Quando uno Stato non riuscisse a trovare chi gli presta denaro, o trovasse sì chi glielo presta, ma ad un tasso di interesse troppo alto, ecco che può trovarsi in quelle “difficoltà” economiche” che gli permettono di rompere il salvadanaio. Per questa ragione l’accesso al MES è condizionato, ossia sopposto a condizioni.
Stringendo all’osso, la condizione è solo una: rimuovere quelle cause che hanno prodotto le difficoltà economiche che a loro volta hanno costretto a rompere il salvadanaio. Il che, soprattutto per l’Italia, significa essenzialmente ridurre il debito, ad esempio riducendo la spesa pubblica.
Sotto questo punto di vista, è evidente che il MES non può essere lo strumento adatto a fronteggiare la crisi che stiamo vivendo. Innanzi tutto la necessità è precisamente quella di aumentare la spesa pubblica in sanità, e non di diminuirla. Poi, la crisi non riguarda le difficoltà economiche di un singolo Paese ma quelle di una serie di Paesi (potenzialmente tutti).
Infine, la necessità di rompere il salvadanaio non dipende dal comportamento economico del singolo Paese ma da una pandemia dalle dimensioni planetarie. Altra cosa è la proposta di rompere il salvadanaio in modo che tutti si possa accedere a risorse già accantonate per tamponare l’emergenza. Ma, per carità, senza sfruttare il momento per consumare vendette tra Paesi virtuosi e non virtuosi. Francamente non è il momento.