Fra dieci o vent’anni qualcuno in Europa dovrà pur fare una statua ad Angela Merkel. Non è un buon periodo, si dirà, per erigere monumenti a personaggi controversi. Vero. Come pure è vero che oggi come oggi non stanno tranquille nemmeno le statue di Gandhi. Ma Angela Merkel sta facendo di tutto per passare alla storia, anzi fa di tutto per scriverla proprio la storia. Sua è infatti la regia dell’operazione che, pur con molti mal di pancia, condurrà a luglio ad un primo sostanziale passo verso la condivisione del (futuro) debito europeo. I mal di pancia dei pochi riottosi saranno adeguatamente manifestati ma scarsamente pesati, perché nessuno di loro ha la stazza per contraddire il gigante teutonico.
Per carità, la cancelliera non fa niente che non convenga strettamente alla Germania, ma nel farlo ha colto ed imposto al dibattito politico del proprio Paese una visione del futuro. Per nostra fortuna è una visione in cui gli interessi tedeschi e quelli italiani (nonché quelli dei restanti Paesi europei) convergono. Sono due i motivi di questa convergenza. Il primo è che Merkel si è resa conto che le catene del valore delle industrie tedesche erano diventate troppo lunghe, ossia contavano troppo su manodopera distante dalle case madri. Le vicende pandemiche hanno cioè mostrato che appaltare a soggetti cinesi la produzione di componenti necessarie alle proprie industrie potrebbe essere in certe circostanze molto rischioso anche se economicamente conveniente nel breve periodo. La seconda ragione della convergenza è l’interconnessione delle economie intraeuropee. A proposito di componentistica, ad esempio, il gigante automobilistico tedesco dipende in gran parte dai produttori italiani. Lo sa bene la confindustria tedesca, che ha infatti chiesto a gran voce al proprio governo di impedire una contrazione dell’economia italiana che affosserebbe l’industria tedesca.
Non per amore, dunque, ma per lungimirante interesse. La storia si fa anche così, e Angela Merkel lo sa.
Angela lo sa
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